Due mesi prima
“Sei tu Dario? Dario Marciano?”
Il ragazzo alzò lo sguardo verso la bella, giovane donna che gli si era avvicinata. Fece un mezzo sorriso, con un’aria strafottente, squadrandola dalla testa ai piedi – senza tentare di dissimulare la cosa. Era in mezzo a un gruppo di ragazzi, appoggiati al muro, tutti appena usciti dalla scuola; anche gli altri si voltarono verso di lei. “Dipende,” rispose lui. “Tu chi sei?”
“Mi chiamo… Cloe,” rispose la donna, imbarazzata. “Sono la madre di Edoardo.” Ci fu un brusio e qualche risolino nel gruppo.
Il ragazzo scosse le spalle, con un ghigno. “Ah, lo sfigato. Sì, mi hai trovato. Cosa vuoi?”
“Vorrei parlarti,” rispose lei, arrossendo leggermente. Anche se si stava sforzando di fissare Dario, non poteva non notare che anche gli altri compagni la stavano guardando con interesse; alcuni si stavano scambiando commenti, più o meno a bassa voce, ma qualche frammento di frase le era arrivato: bella manza…
Dario la guardò con calma, fece un ultimo tiro di sigaretta, sbuffando con calma il fumo. “Seguimi,” le disse quindi. I ragazzi ridacchiarono ancora, si scambiarono qualche gomitata, qualche sguardo. Cloe arrossì ancora di più, e non solo per l‘imbarazzo che provava nel sentirsi al centro di quelle attenzioni, ma anche per il tono autoritario con cui Dario l’aveva apostrofata. Non aveva neppure aspettato una risposta; si era incamminato. Incerta, Cloe lo seguì, a due passi di distanza. Indossava una gonna un po’ attillata, e si pentì di quella scelta, immaginando gli sguardi dei ragazzi che la vedevano allontanarsi insieme al loro “capo”…
Dario girò intorno al palazzo, allontanandosi dalla massa degli studenti, ed entrò in un portone di un vecchio palazzo. Quindi, si volse verso di lei.
“Sei venuta a implorarmi di lasciar in pace lo sfigato?” le chiese.
Cloe arrossì. “Io…” cominciò, incerta. “Ecco… sì… vorrei…”
“Vediamo lo spirito di sacrificio di una mamma?” la interruppe lui.
“Cosa?” mormorò lei.
“Slacciati la camicetta e mostrami quelle tettone.”
Cloe sentì le guance che le avvampavano. Per qualche secondo, le mancò il respiro. Non sapeva cosa rispondere. “Senti… Dario… per favore…” cominciò a balbettare.
Dario la interruppe di nuovo. senza guardarla. “Zitta e tira fuori le tette,” ripeté. “Se hai intenzione di stare alle mie condizioni, possiamo discutere. Altrimenti, fottiti, mammina.”
“Non ho… non ho intenzione di fare una cosa del genere,” disse lei, con un tono sommesso, quasi di scusa, mentre le guance le diventavano più rosse a ogni parola, il cuore che le batteva nel petto. Lui la fissava, con occhi gelidi; e per quanto fosse impaurita, confusa, in imbarazzo, Cloe non osava guardare altrove. “Io… non posso…” continuò. Vide un accenno di un sorriso sul volto di lui, il ghigno di soddisfazione di un predatore che ha fiutato la preda.
E prima che Cloe si potesse rendere conto di quello che stava succedendo, Dario l’aveva colpita con un ceffone, sulla guancia, secco, uno schiocco che echeggiò nel portone.
“Non farti rivedere finché non avrai cambiato idea,” disse. “Lo sfigato ha il mio numero, fattelo dare. E la prima parola che voglio sentire quando mi chiami è ‘scusa’.”
Cloe non riuscì neppure a gemere. Dario se n’era già andato. Rimase sola, nel portone, la mano sulla guancia che scottava.
Le parole di Dario le echeggiavano nella mente: fottiti, mammina.
Quelle parole, “fottiti mammina”, le bruciavano dentro. Perché sapeva – per quanto se ne vergognasse, per quanto lo odiasse – che lo avrebbe fatto. Forse sotto la doccia, o forse a letto, protetta dalle lenzuola e dal sonno di suo marito: si sarebbe masturbata, ripensando a quel momento, a quelle parole, a quel portone, a quello sguardo gelido, a quello schiaffo…
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Nei giorni successivi, Cloe provò ad avvicinare alcuni altri ragazzi della compagnia di Dario, ma nessuno accettò di parlare con lei. Edoardo diventava sempre più taciturno, e un paio di volte tornò a casa con i vestiti bagnati, o i segni di una scritta fatta col pennarello sulla guancia. Cloe sentiva di dover fare qualcosa…
E ogni volta che il pensiero le tornava alle parole di Dario, si sentiva spaventata e impotente. Non poteva fare quello che quel ragazzo le aveva chiesto… scusarsi… essere pronta a spogliarsi davanti a lui a comando… Eppure non poteva neppure ignorare la sofferenza di suo figlio. Né aveva il coraggio di rivolgersi alla polizia o al preside; sapeva di altre mamme della scuola che ci avevano provato, ottenendo solo di peggiorare la situazione.
In una occasione in cui Edoardo aveva lasciato il cellulare sul tavolo, sbloccato, Cloe cercò velocemente in rubrica il numero di Dario, e lo copiò sul proprio telefono.
Quella stessa sera, Cloe rimase sola in casa perché suo marito era a una cena di lavoro. Edoardo dormiva. Prese il telefono con le mani che le tremavano.
Selezionò il numero di Dario. Esitò ancora un attimo; poi premette il pulsante di chiamata.
Attese due, tre, lunghissimi squilli. Quindi, la risposta di Dario. “Pronto.”
Cloe si sentì il cuore in gola. Fece per mettere giù, ma pensò che Dario avrebbe potuto comunque capire che era lei, cercare il numero. E poi, aveva già stabilito di non avere scelta. Arrossì mentre mormorava: “Scusa.”
“Chi sei?”
“La mamma di Edoardo.”
Dario accennò una risata, ma non disse nulla. Cloe rimase in silenzio qualche secondo, poi azzardò: “vorrei parlare… di…”
Di nuovo, Dario la interruppe. “So di cosa vuoi parlare, puttana.”
Cloe si sentì come nell’istante in cui aveva ricevuto il ceffone in strada. Aggredita, debole, indifesa, incapace di reagire. Sapeva che la reazione giusta a quella parola sarebbe stata mettere giù, ma non trovò il coraggio di farlo.
“A casa mia domani mattina,” continuò Dario. “Salto scuola, ho da fare. Vieni alle 10.”
Cloe trattenne il fiato. Chiuse gli occhi. “Va bene,” mormorò. Rimase in attesa, incapace di dire altro.
“Via Lanzone 5, primo piano, interno 3. È a due minuti dalla scuola.”
Per qualche motivo, Cloe aveva sempre pensato che Dario e agli altri bulli della scuola venissero da qualche quartiere dell’hinterland. Si era sbagliata: la via dove abitava Dario era in pieno centro, in un quartiere esclusivo, di palazzi d’epoca.
“D’accordo,” mormorò di nuovo Cloe.
“Una cosa,” disse quindi Dario. “Non ti azzardare a presentarti vestita come una scema come l’altro giorno in strada. Mettiti sexy o ti sbatto fuori a calci in culo.”
Lei si trovò di nuovo senza parole. Dario la incalzò: “hai sentito, puttana?”
Cloe cercò ancora una volta il coraggio di opporre resistenza a quello che stava succedendo; esitò, cercò le parole. Le sue guance erano in fiamme per l’imbarazzo e la vergogna, il cuore le batteva forte. Si rese conto che non avrebbe trovato quella forza; in un sussurro, rispose: “sì.” Dario mise giù, senza aggiungere un’altra parola.
Cloe rimase sul letto, il telefono accanto all’orecchio. Lo aveva davvero fatto? Aveva davvero accettato di andare a casa di un bullo che la trattava come una prostituta e che si aspettava di essere obbedito? Fin dove si sarebbe spinta?
Si vergognava di quella conversazione, di essersi lasciata schiaffeggiare in strada senza una protesta, di essersi lasciata chiamare “puttana’… E c’era un’altra cosa di cui si vergognava… Strinse le gambe, istintivamente…
Lo sto facendo per Edoardo, si disse. Non lo avrei mai fatto… se non per lui…
Sì, era vero. Eppure i sentimenti che provava, le sensazioni, non erano quelle che avrebbero dovuto essere…
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Arrivò alla porta, e rimase in piedi lì, per quasi un minuto, incapace di muoversi. Guardò l’orologio: erano le 10:02. Era già in ritardo. Non poteva aspettare oltre. E poi, non voleva essere sorpresa lì, davanti alla porta come un stupida. Specialmente, non vestita in quel modo.
Suonò il campanello, guardando le proprie mani tremare.
Sentì il rumore di una catenella, poi la chiave che si girava nella toppa. Nonostante l’edificio d’epoca, la porta era una porta nuova, blindata, lucida. Si aprì. Dario era in pantaloncini, maglietta, infradito. Aveva un’aria trasandata e sporca, e sembrava mostrare i segni di una notte movimentata, forse una sbronza.
“Eccoti,” disse, con un ghigno. Guardò Cloe dalla testa ai piedi, con calma, prima di spostarsi da una parte e invitarla a entrare, con un cenno della testa.
Cloe non disse nulla. Entrò, passandogli accanto, imbarazzata. Dario non doveva essersi deodorato, quella mattina.
Lei mosse solo alcuni passi nella casa, e poi si fermò, aspettando che Dario chiudesse la porta alle sua spalle. Già da quel poco che poteva vedere dall’ingresso, la casa era disordinata, sporca, c’era puzza di fumo. Una porta aperta dava sulla camera da letto: si vedeva un letto disfatto e vestiti sul pavimento. Era evidente che Dario abitava da solo: doveva essere un figlio di papà a cui i genitori avevano affittato un appartamento in un palazzo di lusso a due minuti da scuola, e che se la spassava nella sregolatezza, a loro spese.
Dario chiuse la porta, con la chiave e la catenella. “Di là,” disse quindi, indicando la camera da letto. “Muoviti.”
Cloe non rispose nulla, e obbedì, dirigendosi in camera. Dario era dietro di lei. La stanza non aveva un buon odore, ed era disordinatissima, più di quanto non le fosse sembrata poco prima. C’erano lattine di birra sul comodino, una televisione accesa – con un menù di un videogioco – e accanto al letto, sempre per terra, diverse riviste porno. Cloe rabbrividì, e si fermò in mezzo alla stanza. Lui le girò intorno, piazzandosi davanti a lei. Di nuovo, la squadrò dalla testa ai piedi. Lei arrossì. Aveva fatto il possibile per essere più sexy della volta precedente, nei limiti del possibile – della scelta offerta dal suo guardaroba, e del fatto che suo marito l’aveva vista uscire di casa. Si era messa, comunque, una gonna sopra il ginocchio, una camicetta abbastanza attillata da mettere in risalto le forme più che generose del suo seno, e scarpe col tacco alto.
“Puoi fare di meglio,” disse infine Dario, con aria di sufficienza. “Ma se non altro, vedo che abbiamo cambiato atteggiamento,” continuò lui. “Ho ragione, puttana?”
Cloe arrossì, sentendosi aggredita quasi fisicamente, ancora una volta, da quella parola. “Sì,” mormorò.
“Davvero? Sei sicura di aver capito come ti devi comportare con me?”
Cloe arrossì ancora. No, non era sicura. Ma sapeva cosa doveva rispondere. “Sì…”
“Cosa ti ho ordinato l’altro giorno, fuori dalla scuola?” fece lui, continuando a fissarla col suo sguardo gelido.
Cloe sentì il proprio respiro diventare più affannato. “Di… mostrare… il seno…” mormorò, tenendo gli occhi bassi. Tremava appena.
Lui sogghignò. “Allora fai vedere se hai capito,” disse, accennando alla camicetta di lei.
Cloe sentì il cuore che le batteva ancora più forte. Sentì di essere di fronte a una decisione… Avrebbe dovuto discutere i termini, fissare delle regole, cercare delle garanzie. Negoziare. Alzò solo per un istante gli occhi verso quelli di Dario, per cercare il coraggio di dire qualcosa. Ma incontrando lo sguardo freddo, severo, di lui, si rese conto che il ragazzo non si aspettava obiezioni, e forse non le avrebbe tollerate.
Non c’era nessuna decisione da prendere. Non per lei. Non era abbastanza forte…
Portò le mani alla camicetta, e cominciò a slacciare i bottoni. Le mani le tremavano visibilmente, i bottoni erano piccoli, e tenuti in tensione dal fatto che la camicia era attillata; e Cloe si sentì in imbarazzo per le difficoltà che aveva nel compiere quella semplice operazione. “Muoviti, puttana,” la incalzò Dario, “se non vuoi un altro paio di ceffoni subito.”
La mente di Cloe tornò alla mattina fuori dalla scuola. Cercò di fare più in fretta. Uno per uno, riuscì ad aprire tutti i bottoni. Aprì la camicetta, mostrando a Dario i suoi grossi seni, trattenuti da un elegante reggiseno di pizzo bianco.
Lei esitò un istante, attendendo che Dario dicesse qualcosa, ma il ragazzo rimase immobile, in attesa. Non le aveva ordinato di slacciarsi la camicetta, ma di scoprirsi il seno – di “tirar fuori le tette”. Cloe sospirò, le lacrime agli occhi, e poi abbassò le coppe del reggiseno, lentamente, lasciando che i propri seni ne fuoriuscissero e ricadessero all’esterno, coprendole.
“Porca troia,” commentò Dario, ridendo. “Quanto cazzo sono grosse?”
Cloe non rispose, arrossendo ancora di più. Teneva ancora lo sguardo rivolto al pavimento, ma vide le mani di lui che si avvicinavano per toccarla, e rabbrividì, ma non oppose resistenza. Lui le afferrò i seni, al centro; li strinse con forza – abbastanza da farle male, ma Cloe riuscì a non gemere – e cominciò a scuoterli. “Ci credo che ti metti quei cazzo di maglioni da suora,” disse Dario. “Devi tenerle nascoste per non far rizzare tutti i cazzi che incontri per strada…”
Cloe rimase immobile, raggelata. Non sapeva cosa fare, cosa dire…
“Ho ragione puttana? Le devi nascondere se non vuoi sembrare una vacca… Dico bene?”
“Sì…” rispose lei, arrossendo ancora di più. Dario rise, e le lasciò. Quindi cominciò a parlare, accompagnando le prime parole con un gesto che colse di sorpresa la donna: un manrovescio, secco, ben assestato, su uno dei seni di Cloe, dall’alto in basso. Lo schioccò risuonò nella stanza, accompagnato da un debole gemito da parte di lei. Dario continuò a parlare, accompagnando ogni parola da un nuovo ceffone ai seni di Cloe, prima l’uno poi l’altro: “Le cose…” (schiaffo) “cambieranno…” (schiaffo) “da oggi…” (schiaffo) “ti comporterai come la puttana…” (schiaffo) “rizzacazzi…” (schiaffo) “che sei…” (schiaffo)…
A ogni sberla sui seni, Cloe gemeva, e alla fine della frase aveva gli occhi pieni di lacrime per il dolore.
“Lo vedi che casino che c’è in questa casa, puttana?” disse quindi Dario.
Lei annuì. “S… sì…”
“Ho licenziato la donna delle pulizie,” continuò lui. “Una troia colombiana che pensava di potersi prendere i miei soldi pulendomi e stirando, ma tenendo le cosce chiuse.”
Cloe non disse nulla.
“Per fortuna, ho trovato un rimpiazzo. So che tuo marito è fuori di casa tutto il giorno e che tu non lavori. Quindi puoi venire qui due o tre volte a settimana. Due o tre ore. Farai le pulizie, e prenderai il cazzo.”
Cloe rimase ancora in silenzio.
“Se vuoi che lo sfigato non finisca nei guai, obbedirai a ogni mio ordine senza esitare.”
Dario la colpì di nuovo, altri due manrovesci, uno per mammella, questa volta dal basso verso l’alto. “Hai capito bene, puttana?”
“S… sì…” rispose Cloe. Si rese conto di essere quasi grata del fatto che Dario avesse menzionato Edoardo, avesse detto cosa Cloe avrebbe avuto in cambio di quei servigi umilianti… Grata, perché lei temeva di non riuscire a farlo.
“E ora,” disse lui, avvicinandosi di un passo a Cloe, “vediamo quanto sei troia.”
Cloe rabbrividì mentre lui portava le mani alla sua gonna, e la sollevava, senza un’altra parola. La tirò sù fin sui fianchi, rivelando le mutandine di pizzo bianco di lei. Cloe si sentì paralizzata dalla paura. Sentì la mano di lui che si infilava fra le sue cosce. “Apri,” disse Dario, semplicemente, mentre infilava la mano sotto il cavallo delle mutandine di lei. La donna divaricò le cosce, e gemette – un gemito vicino al pianto – mentre lui la penetrava, bruscamente, con due dita. Il ragazzo rise, e cominciò a muovere la mano in sù e in giù, penetrandola con le dita con un ritmo deciso.
“Lo senti questo rumore?” le disse quindi. Cloe si sentì sprofondare dall’imbarazzo. Sentiva quel rumore: lo sciacquio provocato dalle dita che scivolavano dentro e fuori di lei… con facilità… nel suo sesso bagnato… “Questo rumore significa che sei una troia…”
Cloe cominciò a piangere in silenzio. Dario sogghignò, e decise di infierire. Si avvicinò ancora di più a lei, e infilò l’altra mano nelle mutandine di Cloe, ma dietro, afferrandole le natiche; quindi, spinse il medio fra di esse… Lei sentì il dito di lui sul proprio ano… Trattenne il respiro mentre altre lacrime le rigavano le guance…
Il dito scivolò dentro… più a fatica… ma impietosamente, fino alla nocca.
“Eccoti qui, mammina, in piedi con le poppe nude a farti sditalinare fica e culo da uno che potrebbe essere tuo figlio… La fica fradicia come una cagna in calore… Come ti fa sentire?”
Cloe alzò gli occhi pieni di lacrime, guardandolo per un attimo. “È…” esitò. “Umiliante…” mormorò quindi.
“Umiliante,” rise lui. “Ma davvero…”
Fece un rumore con la gola, e prima che Cloe potesse rendersi conto di quello che stava succedendo, le sputò in faccia. Un grosso grumo di saliva le colpì il viso, sul naso e su una guancia. “Ti dico io cos’è umiliante, puttana,” disse quindi, sfilando le dita dall’ano e dal sesso di lei. “In ginocchio.”
Cloe era in uno stato di confusione completa; non riusciva a reagire, non riusciva a pensare. Non ebbe neppure il coraggio di pulirsi il viso, benché la sensazione della saliva che le scivolava lungo la guancia fosse rivoltante. Si inginocchiò, rendendosi conto che le tremavano anche le gambe.
Dario si piazzò di fronte a lei, a pochi centimetri dal suo volto, e senza dire altro si abbassò i pantaloncini, restando nudo dalla vita in giù. Cloe rabbrividì, cercando di non guardare quel membro – non del tutto eretto, ma ciononostante di dimensioni notevoli – e di ignorarne l’odore acre. “Apri,” disse semplicemente Dario, avvicinandolo al viso di Cloe; lei, obbediente, dischiuse le labbra, prendendolo in bocca. Imbarazzata e incerta, fece per cominciare a servirlo, accennando una carezza con la lingua… Ma lui la bloccò. “Ferma,” le disse.
Cloe rimase immobile, il membro di lui in bocca. E spalancò gli occhi, solo per un momento, sentendo la bocca improvvisamente scaldarsi e riempirsi di un sapore acido, disgustoso. Cominciò a piangere, e nello stesso momento si rese conto che lui non si sarebbe fermato… e che doveva cominciare a deglutire. “Questomi sembra ancora più umiliante, non trovi, mammina?” rise Dario, continuando tranquillamente a orinarle in bocca, mentre lei piangeva e si affannava a deglutire in fretta, per evitare che l’urina cominciasse a colarle fuori dalla bocca. “Sei in casa mia da dieci minuti e ti sto già usando come cesso,” continuò Dario, ridendo.
Cloe chiuse gli occhi. Altre due grosse lacrime le scivolarono sulla guancia, mentre annuiva debolmente.
“Ho pensato un bel gioco per te domani,” continuò Dario, con un sorriso soddisfatto. “Quello sarà ancora più umiliante…”
Finalmente il getto di urina diminuì, per con concludersi, con qualche piccolo schizzo finale. “Pulisci,” disse Dario, senza sfilare il membro dalla bocca di lei. Cloe obbedì, accarezzando il glande e l’uretra del ragazzo con la lingua, diligentemente, raccogliendo ogni goccia di urina rimasta. Quando ebbe fatto, Dario le spinse indietro la testa, prese i capelli di Cloe, e li usò per asciugarsi il membro dalla saliva di lei. Quindi, la lasciò. Sfilò i piedi dai pantaloncini, lasciandoli a terra, e mosse un passo indietro, e andandosi sedere sul letto. “Nuda,” le disse quindi, seccamente.
Cloe annuì, e si alzò da terra, guardando timidamente il ragazzo, incerta se le fosse concesso farlo. Lui non reagì. Cloe sollevò un piede, facendo per togliersi la scarpa. Lui la fermò con un cenno. “No. Tieni i tacchi,” disse. “Togli tutto il resto.”
“Sì, Dario.”
Cloe riprese a spogliarsi, cominciando a slacciarsi la gonna.
“Muoviti, puttana” la esortò Dario. “C’è tutta la casa da pulire e prima devi farmi svuotare i coglioni. Fai alla svelta.”
Cloe annuì. “Sì… Dario,” mormorò. Si era sfilata la gonna, e fece lo stesso con la camicia, restando in intimo. Lui aspettò che lei si slacciasse il reggiseno, e lo appoggiasse per terra, insieme agli altri vestiti, e infine che si abbassasse le mutandine. Il corpo nudo della donna era veramente invitante, e strappò un sorriso compiaciuto a Dario. Sogghignando, lui schioccò le dita e indicò il pavimento.
“Giù. A quattro zampe come la stupida cagna vogliosa che sei.”
A Cloe sembrava di non riuscire a respirare. Non era abituata a sentire usare quelle parole, e il modo gratuito, insolente con cui Dario gliele vomitava addosso, al solo scopo di umiliarla.
Cloe arrossì. “Sì… Dario,” ripeté. Tornò a inginocchiarsi, e poi abbassò il busto, appoggiando le mani per terra. Lui scoppiò a ridere. “Cazzo, quelle poppe sono ancora più indecenti così… toccano quasi terra, troia…”
Cloe non rispose, ma rabbrividì. Era evidente che lo spettacolo che aveva di fronte, Cloe a quattro zampe, con i grossi seni penzoloni, lo stava eccitando. E non era evidente solo dal suo sguardo lascivo… ma anche dal grosso membro ormai completamente eretto, che Cloe cercava di non guardare. “Striscia qua, puttana,” disse lui.
“Sì, Dario,” rispose Cloe, avvicinandosi al ragazzo, carponi.
Lui aspettò che la donna avesse fatto qualche passo verso di lui, e poi la fermò con un gesto. “Baciami i piedi,” le disse quindi, sfilandosi le infradito.
Cloe arrossì ancora. Abbassò il busto, obbediente, e avvicinò il volto ai piedi nudi di lui. Ancora una volta, l’odore rivelava il fatto che Dario non si era ancora lavato quella mattina. Vincendo la repulsione, Cloe avvicinò la bocca, e cominciò a baciargli le dita. Lui la lasciò fare per qualche secondo. “Che cazzo stai facendo?” le disse quindi, severamente. “ Le troie baciano con la lingua.”
Cloe arrossì. “Scusa… Dario…” mormorò, spaventata dal tono della voce di lui. Aveva paura di quello che poteva succedere se lo faceva arrabbiare. Dischiuse le labbra, e cominciò a leccare, cercando di rimediare al proprio errore, leccando delicatamente, prima le dita… poi fra le dita… Cloe cercò di non dare a vedere il disgusto che provava…
“Brava, così” disse Dario, lasciando che lei lo servisse in quel modo per qualche minuto, passando da un piede all’altro. Quindi, sollevò il piede destro da terra, poggiandolo sulla bocca di lei. Cloe gli diede uno sguardo, per capire cosa Dario volesse da lei. Lui la guardava a sua volta, sogghignando. “Continua a guardarmi,” le disse, cominciando a spingere col piede. Cloe spalancò gli occhi, allarmata, capendo cosa il ragazzo avesse in mente. Aprì la bocca, e lui cominciò a spingere il piede. Cloe dovette spalancare la bocca più che poteva, e anche così non era facile… Ma Dario continuava a spingere. Lei gemette, sentendosi quasi soffocare mentre lui muoveva il piede per fare entrare tutte le dita nella bocca di lei… Dario cominciò a ridere. “Ora succhia,” le disse. Cloe accennò un “sì”, ma riuscì a emettere solo un gemito soffocato. Quindi, cominciò a succhiare, senza smettere di guardare Dario negli occhi. Il sapore acre del sudore di Dario si mischiava a quello dell’urina; questo, insieme alla pressione del piede nella sua bocca, le causava conati di vomito, che cercava di trattenere; gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime.
“Basta,” disse infine Dario, sfilando bruscamente il piede dalla bocca di Cloe. Due fili di saliva le colarono fuori dalla bocca mentre tossiva, cercando di riprendere fiato; prima che ci fosse riuscita, però, lui l’aveva afferrata di nuovo per i capelli, e la stava già strattonando in avanti. “Continua,” le disse. “Ora baciami le gambe.”
Cloe si spostò in avanti, ancora carponi, e cominciò a baciare e leccare i polpacci pelosi e muscolosi del ragazzo, alternando fra l’una e l’altra gamba. Anche quelli avevano un sapore acido e salato, di sudore. Dario aspettò che Cloe risalisse lentamente, su per i polpacci fino alle ginocchia e poi alle cosce; e a quel punto sollevò i piedi, incrociandoli sopra la schiena di Cloe. In quel modo, lei si venne a trovare ancora più vicino al suo membro, mentre gli continuava a baciare e leccare le cosce. Il glande di lui le strisciò un paio di volte sul viso mentre lei si spostava da una gamba all’altra, lasciando una traccia bagnata.
“Sali ancora,” disse lui.
Cloe risalì con la lingua lungo la coscia di lui, arrossendo ancora di più, il cuore che riprendeva a batterle forte. Lasciò che la propria lingua salisse, lentamente, fino a raggiungere i testicoli di lui. Erano grossi, gonfi, caldi, e anch’essi con un odore pungente. Cloe cominciò a leccarli e baciarli, delicatamente, per poi prenderne uno in bocca, succhiando piano e accarezzandolo con la lingua. Era qualcosa che raramente faceva per suo marito… ancora una volta si sentì sporca e in colpa… perché si era arresa in quel modo, completo; perché le sembrava di essere incapace di pensare, di reagire, incapace di fare qualsiasi altra cosa se non semplicemente obbedire… Succhiò i testicoli di Dario uno per uno, con calma, e poi risalì con la lingua lungo l’asta del ragazzo…
“No no no, troia,” la fermò lui, spingendole la testa indietro, e colpendola con un ceffone sulla guancia. “Non ti ho detto che puoi succhiarmi il cazzo, mi sembra?”
Lei lo guardò, confusa, rossa in volto. “No. Scusa… Dario…” balbettò.
“Ho qualcosa di più adatto a te,” disse lui. Spostò il avanti il bacino, e sollevò le ginocchia. Cloe non capì cosa stava succedendo finché non vide le natiche del ragazzo davanti al volto, e non si sentì di nuovo afferrare per i capelli. “Questo è più adatto,” disse Dario, spingendo il volto di Cloe verso di sé. Lei chiuse gli occhi. Lui spinse ancora, costringendola ad affondare il volto fra le sue natiche. “Respira, troia…” disse quindi, ridendo, ed emise un sonoro peto. Cloe faticava a respirare, ma inalò, obbediente, cercando di non pensare, di reprimere il disgusto, il disgusto per quegli odori, per quelle sensazioni, e per sé stessa… “Ti piace, vero?” la prese in giro il ragazzo. “Buongustaia… forza, dacci dentro di lingua, puttana. Fammi sentire quanto ti piace il mio buco del culo…”
Cloe si sforzò di smettere di singhiozzare, e dischiuse le labbra, allungando la lingua a cercare l’ano di lui. Non vedeva nulla, ora, non sentiva nulla se non quel sapore terribile, che si mescolava agli altri che ancora le appestavano la bocca. Fu ancora una volta sul punto di vomitare, e ancora una volta riuscì a trattenersi, e a servire il suo aguzzino dolcemente, con cura, prima leccandolo in superficie, poi via via lasciando che la propria lingua scivolasse dentro… a fondo… più a fondo…
“Così, puttana, brava,” disse Dario. “Non avevo dubbi che fossi una troia leccaculo…” Lasciò che Cloe lo servisse in quel modo per diversi minuti… minuti interminabili per Cloe… “Più in fondo,” le diceva, esortandola a spingere la lingua più dentro… E Cloe obbediva… il sapore diventava più insopportabile ogni secondo…
Finalmente, Dario le spinse di nuovo la testa indietro, liberandola. Cloe riprese a respirare, mentre lui si rimetteva a ridere, guardando divertito il volto di Cloe, l’espressione disperata della donna, le lacrime che le rigavano le guance…
“Allora, ti è piaciuto, puttana?”
Cloe scosse il capo, singhiozzando. “No…” mormorò.
Lui smise di ridere, e la colpì con un ceffone in pieno volto, un ceffone sonoro, che le fece girare la testa da una parte. “Ti è piaciuto, puttana?” ripeté, seccamente.
Cloe abbassò il capo. “Sì, Dario…” mormorò.
Lui sorrise, colpendola con un altro ceffone. “Devo ammettere,” disse quindi, sogghignando, e cominciando ad accarezzarle la guancia mentre parlava, “che hai anche un bel faccino…”
Cloe rabbrividì, guardandolo con gli occhi pieni di lacrime, tremante.
“Se non fosse per quelle oscene tettone da vacca, sembreresti una brava mammina per bene, con questo bel visino.”
Lei non rispose, e lui la schiaffeggiò ancora. “Non ho sentito ‘grazie’.”
“Grazie, Dario,” balbettò lei.
Lui la fissò, e la prese per i capelli. “Dai,” disse quindi, tirandola verso di sé, “per prima cosa me la voglio segare, la tua faccina da brava ragazza.”
Cloe non rispose, limitandosi ad annuire obbediente, mentre lui la tirava ancora più forte per i capelli, costringendola a spostarsi ancora più vicina a lui, e poi le appoggiava il membro sul volto. Trattenendole la testa con fermezza per i capelli, iniziò a muovere il bacino, facendo scivolare la propria asta sulle guance di lei. Le lacrime e la saliva facilitavano quel gesto osceno, agendo come lubrificante; per Dario, però, sembrava non essere abbastanza, e sputò ancora altre due volte sul volto di lei, sul naso, su una guancia. Cloe sentiva quegli sputi in volto come schiaffi; erano così umilianti da essere quasi dolorosi, come se quei grumi di saliva le bruciassero la pelle.
Un terzo sputo la colpì fra il naso e le ciglia, e istintivamente Cloe chiuse gli occhi. “No no no, puttana,” la riprese subito Dario, strattonandola per i capelli. “Tieni gli occhi aperti e guardami mentre mi sego la tua faccia da troia.”
“Sì… Dario…”
“E masturbati mentre lo faccio,” continuò lui. “Fammi vedere quanto ti piace.”
Cloe arrossì ancora. “Sì, Dario,” mormorò. Tremando, portò le mani fra le cosce, e cominciò a toccarsi. Benché non si stesse nemmeno penetrando, le sue dita furono subito fradicie. Riprese a piangere: si sentiva così sporca…
“Sei fradicia, vero, puttana?”
Cloe annuì, gli occhi di nuovo pieni di lacrime. “Sì… Dario…”
“Ascoltami bene,” disse quindi lui, rallentando il ritmo, ma allo stesso tempo premendo più forte il membro contro il volto di lei, masturbandosi lentamente sulle guance della donna: “non ti azzardare a venire. Quando sei al mio servizio, tu non devi mai venire. Ficcatelo bene in testa. Tutto quello che farai, lo farai per il miopiacere. Il tuo piacere non conta un cazzo, non fa parte del gioco. È chiaro, puttana?”
Cloe aveva sentito una fitta fra le cosce mentre lui parlava, e senza quasi che la donna se ne rendesse conto, era scivolata con le dita dentro il proprio sesso. “Sì, è chiaro, Dario,” disse. “Come vuoi…”
Lui rise. “Brava mammina,” disse, allontanandole la testa dal membro. “Ora apri quella bocca da troia e fammela scopare.”
Cloe socchiuse appena gli occhi, annuendo tremante. Imbarazzata, umiliata, spaventata, dischiuse le labbra. Non ebbe il coraggio di avvicinarsi al membro di lui, ripensando alla sua precedente reazione e capendo che farsi scopare la bocca non voleva dire “prenderlo in bocca…” Non sarebbe stato nulla di così delicato…
Lui sogghignò, e di nuovo la strattonò per i capelli, questa volta spingendo la bocca dischiusa della donna verso il proprio membro. Cloe gemette mentre Dario la tirava ancora più vicino a sé, fino a che il volto della donna non fu schiacciato sul ventre di lui. Cloe tossì; aveva il membro del ragazzo completamente in bocca, fino alla radice, e il glande le spingeva sulla gola.
“Non voglio sentirmi dire che una troia sposata come te non lo prende in gola,” disse Dario, spingendole ancora di più la testa verso di sé.
Cloe si sentì morire. Il glande di lui, grosso e gonfio, le stava scivolando in gola, e le impediva di respirare. Aveva lo stimolo del conato, ma non riusciva neppure a tossire.
“Stai continuando a masturbarti, vero, puttana?”
Cloe si sforzò di accennare un ‘sì’ col capo. Aveva tre dita dentro il proprio sesso…
Lui annuì. “Avanti,” disse, seccamente. “Su e giù con la gola.”
Close gli diede uno sguardo disperato. Non sapeva se sarebbe stata capace di fare quello che lui le stava chiedendo, le sembrava di soffocare. Cercò di rilassare la gola e di ricacciare indietro conati di vomito e colpi di tosse, e iniziò a muovere la testa delicatamente, avanti e indietro. Sentiva il glande gonfio di Dario che scivolava nella sua gola e poi ne scivolava fuori, ancora e ancora, e ogni volta Cloe doveva fare uno sforzo disperato per controllare le reazioni del suo corpo. Ricominciò a piangere mentre lentamente prendeva un ritmo, su e giù. Di fatto, stava masturbando Dario con la gola… Era un pensiero così osceno… Cloe si rese conto che le sue dita scivolavano troppo facilmente nel suo sesso, e si sforzò di rallentare. Non doveva assolutamente avvicinarsi al piacere… Sapeva che non sarebbe stata capace di fermarsi…
Mentre la donna inginocchiata piangeva e si strozzava sul membro gonfio del ragazzo, lui recuperò il cellulare, appoggiato sul letto, e compose un numero.
“Ehi Teo, bello, che si dice? Da quant’è che non ti fai vivo? Ti sei scordato di me?”
Mentre parlava, distrattamente, Dario portò una mano al volto di Cloe, prendendole il naso fra pollice e indice, cominciando a tirarle leggermente avanti e indietro per controllare il ritmo con cui la donna lo masturbava con la gola. Questo rese le cose ancora più difficili per Cloe, che si trovò di nuovo a respirare a fatica.
“Lo so, bello,” continuò Dario, “lo sai com’è, quegli spilorci inculati dei miei mi passano troppo poco, e a metà mese sono senza contanti. Ma ho qualcos’altro da proporti…” Così dicendo, diede uno sguardo a Cloe, sogghignando. Lei se ne accorse, e rabbrividì, mentre lui la tirava con forza per il naso verso di sé, costringendola a prendere in gola tutto il suo glande.
“Tu passa di qua e portamene un venti. Nessuna fregatura, bello. Vedrai che mi ringrazierai, fidati… esatto… e ti assicuro che è il tuo tipo… due cazzo di tettone come non le hai mai viste…”
Cloe rabbrividì, rendendosi conto, almeno in parte, di quello che stava succedendo. Gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime.
“Ecco fatto,” disse Dario, chiudendo la telefonata, buttando il cellulare sul letto, e rivolgendosi a Cloe. Le spinse indietro il volto, sfilandole il membro dalla bocca. Cloe tossì, e grossi, densi grumi di saliva (forse misti a catarro o vomito) le ricaddero sul mento e sulla bocca. “Ho appena trovato un nuovo uso per la mia troia personale. Fra poco viene un mio amico a portarmi un po’ di erba, e in cambio lascerò che ti stupri come vuole. No limits. Sei contenta, puttana?”
Cloe scosse il capo, riprendendo fiato a fatica e piangendo. “No…”
Lui la colpì con un ceffone in pieno volto, un ceffone sonoro, che le fece girare la testa da una parte. “Sei contenta, puttana?” ripeté.
Cloe abbassò il capo. “Sì, Dario…” mormorò.
“Meglio così. Ora lasciami finire la mia sega.”
La afferrò di nuovo, ancora per i capelli, e di nuovo appoggiò il membro sul viso di lei, insozzato da saliva e catarro. Usò il membro, a mo’ di pennello, per spalmarle quei liquidi disgustosi sulle guance, mescolandoli alle lacrime della donna, e poi ricominciò a strofinarlo sul viso di lei, sfruttando quella mistura di saliva, catarro e lacrime come lubrificante. “Ora è il momento che io mi svuoti i coglioni,” disse. “Tieni gli occhi aperti quando ti vengo in faccia, hai capito, troia?”
“Sì, Dario…” rispose lei. Stava ancora masturbandosi, con tre dita, e ora che non aveva più il membro di lui in gola, che non doveva più lottare per respirare, il piacere stava cominciando a crescere… Cominciò ad ansimare…
Lui smise solo un istante di masturbarsi sul viso di lei, per rifilarle un nuovo ceffone. “Ricordati di non venire, puttana,” disse, seccamente. “Non ti azzardare.”
“No, Dario,” rispose Cloe, sentendo una stretta allo stomaco mentre lui ricominciava a masturbarsi sul suo volto. Sfilò un dito, continuando solo con due, e cercò di rallentare… Ma provava ancora troppo piacere… Senza volerlo, ripensò all’ordine di Dario: tieni gli occhi aperti quando ti vengo in faccia, e questo pensiero le procurò un brivido che percorse il suo corpo e arrivò fra le sue cosce.
Lui ora stava strofinando il membro con così tanta forza sul volto di lei, da farle male quasi male. Le guance di lei si stavano asciugando, e il ragazzo le sputò ancora in faccia, due, tre volte… Cloe sentì un nuovo brivido a ogni sputo…
Esitò. Quindi, tremando, dischiuse le labbra, balbettando: “Dario… Posso… posso smettere di… toccarmi?” mormorò.
Lui la guardò sogghignando. “Perché dovrei farti smettere, puttana?” le chiese.
Lei arrossì, esitando di nuove. “Ho paura… di venire…”
Dario scoppiò in una fragorosa risata. “Hai paura di venire!” disse, spingendo più forte col membro contro il viso di Cloe, mentre cominciava a incrementare il ritmo. “Sembra che abbiamo scoperto il segreto della mammina,” disse. “Tuo marito lo sa, che sei una troia sottomessa?”
Cloe si sentì sprofondare. Le sembrava che le guance le scottassero… e forse era vero. Tutte quelle sensazioni… o tutte le disgustose prove a cui era stata sottoposta… poteva persino avere la febbre… Sicuramente si sentiva confusa, provava nausea, dolore allo stomaco… E quelle parole… tuo marito lo sa, che sei una troia sottomessa?… si sentiva le ginocchia deboli, come se una sua colpa terribile fosse stata scoperta…
E mentre cercava di dirsi che non era così, che quella non era lei, che lo stava facendo per Edoardo… lo sciabordio delle sue dita che entravano e uscivano dal suo sesso fradicio, la sensazione appiccicosa dei propri succhi sulle cosce la smentivano…
Si rese conto che non aveva ancora risposto alla domanda.
“No, Dario,” mormorò. “Non lo sa…”
Lui rise di nuovo. “Sei fortunata, mammina,” le disse. “Sei capitata nella mani giuste… so come far divertire le troie come te…”
“Per favore…” mormorò ancora lei, “posso… posso smettere di toccarmi? Sto… sto per…. ti prego…”
“No,” rispose Dario. “Non puoi smettere di toccarti, e non puoi venire.”
Cloe socchiuse gli occhi, disperata. Aveva tutti i muscoli tesi nello sforzo disperato di trattenersi.
“Vedi,” continuò Dario, tirando con più forza i capelli di Cloe per spingerle il volto contro il proprio membro, strofinandolo sempre più vigorosamente e più velocemente, “mi piace molto segarmi il tuo bel vicino sapendo che stai facendo tutta questa fatica per non venire…”
“Sì… Dario…” mormorò lei, ansimando.
“Ricordati di tenere gli occhi bene aperti, puttana, hai capito?”
“Sì… Dario…”
Quindi, il ragazzo le spinse indietro la testa, prendendosi il membro con l’altra mano, e orientandolo in avanti, verso il volto di lei. Cloe spalancò gli occhi, suo malgrado, mentre lui cominciava a schizzare. Il primo grumo di sperma le finì sul naso, ma il secondo la colpì sulla guancia, finendo in parte anche nell’occhio. Cloe si sentì bruciare e gemette di dolore, mentre Dario schizzava ancora, colpendole di nuovo il naso e poi anche l’altro occhio. Cloe di nuovo gemette, ma riuscì a tenere gli occhi aperti, o almeno socchiusi. Ci fu ancora un altro schizzo, e poi un altro ancora. Lo sperma che aveva sugli occhi stava già cominciando a renderle appiccicose le ciglia. Dario rise, guardandola, mentre si puliva il membro nei capelli di lei. “Eccoti sistemata, mammina,” le disse. “Come si dice quando qualcuno ti sborra in faccia, puttana?”
Cloe esitò. Poteva immaginare cosa Dario intendesse… o per lo meno, aveva un’idea di cosa potesse essere. Ma aveva paura a dirlo. Era ancora sull’orlo di un orgasmo, un orgasmo che sicuramente le sarebbe costato molto caro. E sapeva che dire quella parola…
“Come si dice, puttana?” insistette lui, colpendola con un nuovo ceffone. Nel farlo, si sporcò la mano di sperma e saliva, e se la pulì sui capelli di Cloe.
“Gra… Grazie…” balbettò lei, guardandolo con occhi sempre più supplicanti.
Lui fece una smorfia. “Ah già… scordavo…” disse quindi, ridendo, “la mia troia sottomessa ha tanta voglia di venire…”
Lei annuì debolmente.
“Mani dietro la schiena, puttana,” disse lui.
Cloe smise immediatamente di masturbarsi, mettendo le mani dietro la schiena come le era stato ordinato. “Grazie, Ser…,” balbettò, ma la sua frase fu spezzata dal gesto inaspettato di lui, che si chinava in avanti, e le metteva una mano fra le cosce. Cloe gemette sentendo le dita di Dario che la penetravano brutalmente… tre… quattro dita…
“Puttana di merda,” disse lui, spingendo le dita a fondo e sputandole di nuovo in faccia, “sei venuta qui per sacrificarti per il tuo bambino e invece sei fradicia e stai godendo come un maiale… Ti rendi conto di quanto fai schifo?”
“Sì… Dario…” mormorò lei, di nuovo lottando per trattenere il piacere, mentre le dita del ragazzo penetravano dentro di lei fino alle nocche, dilatandola oscenamente. Un nuovo sputo la colpì sul volto.
“Dillo, puttana.”
“Faccio… faccio schifo… Dario…” mormorò lei.
Lui sputò ancora, e sfilò la mano. Portò la mano al volto di Cloe, e spinse le dita contro le labbra della donna. Lei aprì la bocca e lasciò che lui le penetrasse la bocca come le aveva penetrato il sesso. Le dita quasi in gola le provocarono di nuovo lo stimolo del vomito, ma riuscì a trattenersi.
Quindi, Dario rise, togliendole di bocca la mano, e si alzò dal letto. “Ora basta divertirsi,” disse. “È ora di lavorare. Comincerai pulendo il cesso. A quattro zampe.”
“Sì… Dario…” rispose lei, mettendosi carponi. Un grumo di saliva stava per colarle dal mento, e lei fece per raccoglierlo.
“No,” la fermò lui. “Non ti pulire. Farai i mestieri con la faccia piena di sbarra e sputo. Ma se goccioli, ti fermi e pulisci il pavimento con la lingua. Capito, troia?”
“Sì, Dario.”
“Seguimi, ti faccio vedere dov’è il ripostiglio con gli stracci.”
Cloe fece appena un cenno con la testa, e questo bastò per far cadere a terra il grumo di saliva che le pendeva dal mento. Si chinò, e pulì per terra con la lingua. Quindi, seguì Dario verso il corridoio…
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“Ancora qua sei? Ma quanto cazzo sei lenta, troia?”
Dario era entrato in cucina all’improvviso. Cloe rabbrividì. “Mi spiace… Dario… io…”
Le sue scuse furono interrotte da un calcio ben assestato, fra le cosce aperte, che le strappò un gemito di dolore. “Non me ne faccio niente dei tuoi mi spiace, puttana,” disse lui, seccamente. “Teo sarà qua fra poco e non hai nemmeno pulito metà della casa…”
“Cercherò di fare più in fretta, Dario…” mormorò lei. Ma non era facile. Tutto il suo corpo era dolorante per la posizione innaturale in cui Dario l’aveva costretta a pulire casa. Era carponi, o meglio sulle ginocchia e sui gomiti; aveva i seni legati alla base, e allo spago che li stringeva era stato fissata, con altri spaghi, l’estremità inferiore di uno spazzolone per pavimenti, senza il bastone. Tutti i legacci erano molto stretti, e lo spazzolone comprimeva visibilmente le mammelle della donna. Sotto lo spazzolone era agganciato uno straccio bagnato, già sudicio. Cloe stava col busto piegato in avanti, in modo da appoggiare lo straccio per terra… Era ancora completamente nuda, eccetto per le scarpe col tacco.
Dario la afferrò per i capelli. “Certo che farai più in fretta, cagna,” le disse, colpendola con una serie di violente pacche sulle natiche nude. Quindi, le lasciò i capelli, spingendole brutalmente la testa in avanti, passò dal lavello, prendendo un mestolo di legno, si andò a sedere su una sedia.
“Porta qui il culo, troia,” le ordinò.
Cloe rispose “sì, Dario,” e si spostò carponi verso di lui. Alzò lo sguardo al ragazzo, e capì immediatamente di aver sbagliato qualcosa. Prima di dirle il motivo per cui lo faceva, lui la colpì con due ceffoni sul volto. “Ti ho detto di darmi il culo. Questo qui è il tuo culo, puttana?” sibilò lui, accennando al volto di Cloe. Lei arrossì. “Scusa… Dario… non avevo capito…” balbettò, girandosi velocemente su sé stessa per offrirgli le natiche.
“Ti dico perché farai più in fretta, troia,” continuò lui, cominciando ad accarezzarle le natiche con il mestolo di legno. “Mi ero ripromesso di non lasciarti segni per non insospettire tuo marito, ma visto quanto sei penosa nei lavori di casa, forse è meglio che lui sappia almeno che sua moglie è una troia…”
“Per favore…” mormorò Cloe, piangendo sommessamente. Sentì il mestolo che scivolava fra le sue natiche e poi sul suo sesso…
“Quindi ti faccio tornare a casa col culo a strisce. Ti servirà da lezione. Può darsi che la prossima volta ci metterai più impegno,” disse Dario. “E ora voglio sentire la tua risposta.”
Cloe esitò. “Grazie… Dario…” mormorò.
Lui rise, e le rifilò un primo, secco colpo col mestolo sulle natiche nude. Ci fu un sibilo e un forte schiocco, seguito dal gemito di dolore di lei.
“Non ho sentito, cosa hai detto?” fece lui, tornando a strofinarle il mestolo sul sesso.
“Grazie… Dario…” disse Cloe. Lui sogghignò e la colpì di nuovo. Lei ringraziò di nuovo…
“Fica spalancata,” disse quindi lui, colpendola una terza volte sulle natiche. Cloe spalancò le gambe, obbediente, e intanto mormorò ancora: “grazie, Dario…”
Dario si sfilò una delle ciabatte, e sollevò il piede, appoggiandolo al sesso di lei. Cloe rabbrividì. “Sei fradicia, puttana. c’è odore di fica in tutta la casa… Non ti vergogni?”
“Sì… Dario…” mormorò lei, stringendo i denti. Lui aveva cominciato a spingere col piede, le dita unite… era evidente che aveva intenzione di penetrarla in quel modo. Cloe era terrorizzata, ma non osò fiatare, limitandosi a ringraziare ancora e ancora mentre Dario la colpiva ripetutamente col mestolo. A ogni colpo, lui spingeva il piede con più forza, e le dita cominciarono a scivolare dentro. Istintivamente, senza rendersi conto dell’errore che stava facendo, Cloe cercò di spostare il bacino in avanti, per allentare la pressione del piede sul suo sesso. “Dove cazzo vai, troia?” la sgridò lui, colpendola col mestolo ancora più forte. Lo schiocco rimbombò nella stanza e fu accompagnato da un dolore acuto e pungente, come una scottatura; Cloe gemette. “Scusa… Dario… grazie… Dario…” pianse, disperata. Si sentiva sopraffatta; subito riportò indietro il bacino, e anzi si sforzò di andare incontro alla penetrazione… Il piede scivolò ancora dentro di lei… Non si era mai sentita così dilatata… Le sembrava che la carne le si dovesse squarciare…
In quel momento suonò il campanello.
“Ah… Teo ha salvato il tuo culone,” disse Dario, colpendola ancora due volte col mestolo. “Riprenderemo il discorso più tardi, puttana. Girati e puliscimi il piede, e sbrigati.”
Cloe lasciò che lui sfilasse il piede dal suo sesso, e si girò subito verso di lui, prendendogli il piede nudo in bocca e succhiandolo e leccandolo.
Il campanello suonò di nuovo.
“Che cazzo,” disse Dario, alzandosi in piedi. “Stai ferma qui.”
Uscì dalla stanza. Cloe rimase immobile, singhiozzando in silenzio, i colpi di mestolo che ancora le bruciavano, come tante strisce di fuoco sulla pelle. Sentì le voci dei due ragazzi dall’ingresso. “Mi hai portato tutto? Bravo, bello. Dai, vieni, ti faccio vedere cosa ti offre in cambio il tuo amico Dario…” Poi sentì i loro passi. Lei era carponi spalle alla porta, le cosce spalancate, per cui la prima cosa che l’ospite avrebbe visto entrando erano le sue natiche rigate dal mestolo e il sesso aperto e bagnato.
Finalmente, i due arrivarono in cucina. Cloe non li poteva vedere, e arrossì per l’umiliazione all’idea dello spettacolo che stava offrendo a quello sconosciuto…
“Porca troia!” esclamò Teo. Dario rise. “Proprio così,” disse. “Questa culona che vedi è una porca e anche una troia!”
I due ragazzi risero, e Cloe sentì che Dario le si avvicinava. “La puttana ha un bel culo,” disse, afferrando la donna per i capelli; “ma penso che quello che ti interesserà di più…” continuò, tirando Cloe in modo da farla girare verso l’ospite, “è questo… guarda che bel faccino e che mammellone da vacca… Non male come abbinamento, eh?” Così dicendo, scrollò la testa di Cloe. “Fatti guardare dal mio amico, puttana, alza quegli occhi.”
Cloe alzò lo sguardo, timidamente, verso il nuovo arrivato. Era un ragazzo appena più grande di Dario, ma sembrava molto più adulto. Aveva la barba incolta, collo e braccia tatuate, capelli tagliati a zero, e i muscoli gonfiati da molte ore di palestra. Guardando gli occhi grigi di lui, vedendo il suo ghigno, Cloe si sentì gelare.
“Allora?” chiese Dario.
“Ha la faccia impiastricciata di sborra,” commentò Teo, ridendo. “A parte questo… sì…. devo ammetterlo… una notevole troia…”
“Puoi farci quello che vuoi,” rispose Dario, ridendo a sua volta, “anche farle lavare la faccia… Vale i venti?”
Teo fece una smorfia. “Per quanto tempo me la lasci?”
Dario scrollò le spalle. “Un’ora?”
“Facciamo due,” rispose Teo.
Dario stava ancora trattenendo Cloe per i capelli, e li tirò per farle volgere il volto verso di sé. “Cosa dici troia? Avevi qualche impegno? O va bene se ti faccio stuprare per due ore dal mio amico?”
Cloe scosse debolmente il capo. “Va bene… Dario…” mormorò.
I due ragazzi scoppiarono a ridere. “Teo qui è un po’ birichino,” disse quindi Dario, sempre sorridendo mentre parlava, “ti farà delle cose che potrebbero farti un po’ male, o un po’ paura… o tutte e due. Ma tu devi obbedire a qualsiasi cosa ti chieda. Hai capito?”
“Sì… Dario…” mormorò lei, cominciando a tremare.
“Due sole regole, Teo,” continuò Dario, stavolta rivolgendosi al suo amico. “Niente segni. Stai attento anche con la cintura.”
Cloe rabbrividì. Con la cintura?Sembrava che Dario si riferisse a una cosa precisa… Cinghiate? Come potevano delle cinghiate non lasciare segni?
“Seconda regola, lei non deve godere.”
“Mi sembra giusto,” rispose Teo. “Affare fatto.”
“Bene, allora…” concluse Dario, lasciando finalmente i capelli di Cloe e facendo un gesto di invito con la mano. “Tutta tua. Serviti…”
Teo sorrise, e prese un sacchettino di plastica pieno di marijuana dalla tasca del giubbotto, passandolo a Dario. “D’accordo,” disse. Si avvicinò a Cloe. “Per prima cosa,” disse, prendendola per i capelli a sua volta, “devi lavarti la faccia. Andiamo.”
Si incamminò con decisione fuori dalla cucina, verso il corridoio, e Cloe lo seguì carponi, ancora piangendo. Era evidente che Teo era già stato a casa di Dario e la conosceva, perché si diresse verso il bagno senza chiedere indicazioni…