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Manuela era seduta al computer, e fingeva di stare scrivendo qualcosa, ma non riusciva a concentrarsi. Era in ufficio già da due ore, e non aveva ancora visto Depoulos. Aveva paura di incontrarlo.

La sera prima Depoulos l’aveva chiamata sul cellulare e le aveva dato istruzioni circa come vestirsi. Manuela si era stupita che lui ricordasse così bene il suo guardaroba. “Metti il tailleur con la gonna più corta che hai, dovrebbe essere quello crema”, le aveva detto. “Autoreggenti e un paio di scarpe col tacco alto. Metti anche la camicetta di seta bianca, e tieni la giacca sempre slacciata. Niente intimo ovviamente. Cura il trucco e i capelli, non ti voglio vedere sciatta”.

E ovviamente lei aveva obbedito. Si era preparata – anche oggi – con la massima cura. Si sentiva sexy. E sapeva che la camicetta di seta, portata senza reggiseno, rivelava chiaramente la forma dei suoi seni, e lasciava persino intravedere l’aoreola dei capezzoli. Se solo avesse potuto chiudere la giacca…

Ogni volta che qualcuno entrava nel suo ufficio, Manuela arrossiva. Ma sapeva che quel piccolo imbarazzo, di avere il seno così esposto, era niente rispetto a quello che sarebbe accaduto più tardi…

… suonò il telefono. Era lui. Manuela alzò la cornetta con un tremito nelle mani.

– Nel mio ufficio, troia.

– Si, signore – rispose lei, alzandosi e camminando in fretta per il breve corridoio che portava alla porta dell’ufficio del capo, accompagnata dal ticchettio dei suoi tacchi. Bussò timidamente ed entrò.

Depoulos sedeva alla scrivania, e Manuela sbiancò vedendo l’espressione sul volto di lui. Seppe immediatamente che stava per essere sgridata – o forse punita? – per qualcosa. Non aveva idea di cosa si trattasse. Chiuse la porta alle proprie spalle e avanzò nell’ufficio, fermandosi davanti alla scrivania.

– Si, signore…? – chiese, timorosa.

– Indovina cosa mi è toccato sentire oggi, puttana, – disse lui, freddamente. Manuela cercò in tutti i modi di ripensare a quello che era accaduto dal giorno prima fino a quel momento, ma non riuscì veramente a immaginare di cosa potesse stare parlando Depoulos. – Io… non lo so… signore…

– Mi hanno riferito che stamattina Storace stava usando il tuo computer, e quando sei arrivata gli hai detto di scollegarsi e lasciarti lavorare.

Storace era un ragioniere vicino alla pensione, che da tempo era in forte attrito con lei. La trattava con disprezzo e coglieva ogni occasione di metterla in cattiva luce o crearle problemi sul lavoro. Sembrava che fosse ossessionato dall’idea che le belle ragazze fanno carriera troppo facilmente. Era arrivato persino a insultarla. Lui e Manuela avevano litigato qualche mese prima quando Storace, parlando con qualcuno di una promozione che aveva aspettato invano per un anno, aveva aggiunto “chiaramente io non ho questo!” dandole una pacca sulle natiche; e questo di fronte a molte persone, alcuni amici di Manuela e anche sconosciuti. Lei era andata su tutte le furie, lo aveva schiaffeggiato e gli aveva urlato in faccia. Da allora c’era sempre tensione quando lei e Storace si trovavano nella stessa stanza.

– Allora?

Manuela annuì. Non capiva. – Si, signore… è vero…

– Pensi di avere il diritto di comportarti così?

La ragazza era confusa. – Io… ecco… avevo bisogno del mio computer per lavorare, e… non c’era…

Depoulos la interruppe con un gesto. – Ok, non capisci proprio, – disse. Schioccò le dita, indicando poi la gonna di Manuela. – Mostrami la fica.

Manuela trasalì. Ecco, stava succedendo. Arrossendo, prese l’orlo della gonna, e lo sollevò, scoprendosi per Depoulos. Allargò leggermente le gambe. Il suo sesso era depilato, liscio e sexy. Depoulos lo guardò con aria di sufficienza, poi alzò lo sguardo verso di lei.

– Avvicinati.

Manuela arrossì e mosse qualche passo in avanti. A un nuovo cenno dell’uomo, girò attorno alla scrivania, e si fermò davanti a lui, gli occhi incollati al pavimento per l’imbarazzo e la paura.

– Guardami.

Lei alzò gli occhi. Depoulos portò una mano al sesso di Manuela e le afferrò le grandi labbra, una fra il pollice e l’indice e l’altra fra l’indice e il medio. Iniziò a tirarle verso il basso mentre parlava. Manuela rabbrividì.

– Tu non hai nessun diritto nella tua nuova posizione in questa azienda. Non hai il diritto di dire a nessuno di fare o non fare qualcosa.

Manuela gemette debolmente mentre lui tirava più forte. Iniziò a piegare le ginocchia.

– Non hai diritto di protestare se qualcuno usa le tue cose, o ti dà una pacca sul culo alla pausa caffé… – gli occhi di grigi di Depoulos sondarono la reazione di Manuela a questa frase, prima che lui continuasse: – e nemmeno se qualcuno ti sputa sulla scrivania o ti sputa in faccia. Devi accettare tutte queste cose perché sei l’ultimo anello della catena e ti sei meritata di esserlo. Ti è chiaro?

– Si, signore, – rispose lei. Lui tirò ancora più forte le labbra della vulva di lei, costringendola a piegare le gambe. Manuela si inginocchiò, e Depoulos lasciò la presa. 

– Guardami, – disse ancora Depoulos, e la colpì con un ceffone in pieno volto. Manuela gemette. – Tieni SPALANCATE le gambe puttana. Non devi nemmeno fartelo chiedere. Fica SEMPRE aperta quando sei di fronte al tuo padrone.

– Si… signor Depoulos… padrone… – mormorò lei, aprendo le gambe.

– Apritela con due mani.

Lei mormorò ancora “si, signore…” Sentiva l’aria condizionata sul sesso nudo… portò le mani fra le cosce, prendendosi le grandi labbra e aprendole delicatamente per lui. Depoulos si prese una sigaretta e la accese, continuando a fissarla negli occhi.

– Masturbati. E apri la bocca.

Manuela obbedì, cominciando a strofinarsi il clitoride con le dita e dischiudendo le labbra.

– Deciderò io come diffondere questa informazione, ma tu sei già da questo momento la schiava aziendale.

Depoulos si chinò in avanti, e le sputò in bocca. Manuela chiuse gli occhi solo per un istante per la sorpresa. Sapeva di fumo e di marcio… era disgustoso… Rimase immobile, non sapendo cosa fare.. doveva mandarlo giù?

– Lingua fuori.

Manuela tirò fuori la lingua, sentendo la il grumo di saliva di Depoulos che le scivolava in bocca. L’uomo fece un tiro di sigaretta e poi fece cadere la cenere sulla lingua della ragazza. Manuela rimase ancora immobile, continuando a masturbarsi.

– Sei mai stata scopata in culo, troia?

Lei fece cenno di no col capo.

Depoulos annuì. – Hai un culone morbido da baldracca… e sei una troia… i tuoi fidanzati dovevano essere tutti frocetti se non te l’hanno mai aperto.

Mentre parlava, Depoulos si mise a palpare e strizzare i seni di Manuela attraverso la camicetta. Manuela arrossì ancora di più. C’era qualcosa di umiliante persino in quel gesto… perché Depoulos lo faceva senza nessun particolare coinvolgimento, in modo ozioso, tanto per fare qualcosa… Fece cadere dell’altra cenere sulla lingua di Manuela, e ci sputò sopra ancora.

– Manda giù.

Manuela sentì una lacrima che le scorreva lungo la guancia… Il sapore era terribile… si sforzò di non vomitare mentre deglutiva quell’orribile misto di cenere e saliva.

– Forse se ti faccio sverginare il culo da Storace come punizione per quello che hai fatto questo aiuterà a farti capire quanto poco vali. Cosa ne pensi?

Manuela esitò. Per un attimo avrebbe voluto implorare. Ma lo sguardo di Depoulos la spaventava… stava aspettando una risposta, e aveva l’impressione che stesse aspettando un suo errore per punirla. E poi capì, e arrossì mentre rispondeva: – si… si signore… – si affrettò a dire, – grazie signore… mi aiuterà a capire…

– Tu meriti di essere inculata da Storace come punizione per la tua arroganza?

– Io… non so… non sono sicuro di meritarlo… signore… ma devo essere punita…

Manuela era terrorizzata… Violentata da Storace? Non poteva neppure immaginarlo… quell’uomo terribile… odioso… E poi… cosa significava, Depoulos aveva davvero l’intenzione di metterla a disposizione di tutti i colleghi dell’ufficio? Non poteva essere… Forse voleva solo umiliarla… Forse era un bluff… Doveva esserlo…

Si sentì gelare il sangue nelle vene quando vide Depoulos alzare la cornetta e comporre un breve numero interno. – Storace? Venga nel mio ufficio fra mezzora. La signorina Rossi vorrebbe scusarsi per il suo comportamento di oggi.

– Fatto, – disse Depoulos, mettendo giù. Tornò a guardare la ragazza inginocchiata, con gli occhi pieni di lacrime per quello che era appena successo, eppure ancora intenta a masturbarsi davanti a lui.

Quand’è stata l’ultima volta che sei stata sculacciata, troia? A che età?

– Credo… quindici… o sedici anni signore.

– Cos’avevi fatto?

– Io… ero… stata sorpresa a toccarmi signore.

– Come stai facendo adesso, – annuì Depoulos, dando un’occhiata alla mano con cui Manuela strofinava il suo sesso. La ragazza arrossì, capendo il significato di quello sguardo. L’uomo portò le mani fra le cosce di Manuela, e infilò con facilità due dita nella vagina di lei. Scivolarono dentro quasi risucchiate dal sesso della ragazza.

– No, non direi che tu abbia imparato la lezione. Sei ancora la stessa troietta vogliosa che eri a sedici anni. Vorrà dire che ora scalderemo il tuo culone da baldracca per prepararlo per Storace.

L’uomo si alzò, e la afferrò per i capelli. Manuela fece appena in tempo ad alzarsi da terra, gemendo di dolore… lui la trascinò brutalmente dalla parte opposta della scrivania, e la fece piegare a novanta, busto sul piano di vetro; le schiacchiò giù la testa, facendole appoggiare anche la guancia. Quindi, si mise dietro di lei. Manuela era troppo frastornata per fare qualsiasi cosa… rimase in attesa, immobile, le mani appoggiate sulla scrivania ai lati del busto.

Depoulos le sollevò la gonna, e le rifilò due sberle all’interno delle cosce. – Ti ho già detto che le puttane tengono le gambe SPALANCATE, – disse, rabbiosamente. Manuela sentì il cuore che cominciava a batterle all’impazzata per la paura… No… non doveva farlo arrabbiare… Spalancò velocemente le gambe. – Chiedo scusa signore… – mormorò. 

Lui le rifilò una violenta pacca sul sedere, con uno schiocco che echeggiò nella stanza, seguito da un debole gemito di Manuela.

Non hai ancora imparato niente, troia? – disse lui, chinandosi in avanti verso il volto di lei, e afferrandole e stingendole violentemente una natica mentre le parlava. – Prima cosa, se ti devi scusare, è troppo tardi, – le disse. – Vuol dire che hai già sbagliato, e sarai punita. – Le sputò in faccia sulla guancia. – Seconda cosa, a me piace farti male e le mie punizioni sono sempre molto molto dolorose. Quindi dovresti mettere molto più impegno nel cercare di non sbagliare.

– Si… signore… mi scusi… mi impegnerò di più…

– Certo, imparerai col tempo, stai tranquilla, a forza di punizioni – continuò lui. Portò la mano al sesso di Manuela, e le diede due colpetti alle grandi labbra con l’indice. – Apri il posacenere, devo spegnere, puttana.

La ragazza si rese conto improvvisamente di quello che Depoulos aveva intenzione di fare, e si sentì il cuore in gola. Avrebbe voluto urlare e supplicare, ma aveva troppa paura. Portò le mani fra le gambe, e si aprì il sesso. Depoulos prese un’ultima boccata dalla sigaretta, e si chinò in avanti, appoggiando la bocca alla vagina aperta ed esposta della ragazza, e soffiandole dentro il fumo ancora caldo. Manuela strinse gli occhi… bruciava… Depoulos allontanò la bocca, e Manuela sentì il calore molto più intenso della brace che si avvicinava alla sua carne… strinse i denti ed emise un gemito con la bocca chiusa mentre lui spingeva la sigaretta dentro la sua vagina, spegnendola sui suoi umori… Sentì le ginocchia che le stavano per cedere…

Non poteva credere alla crudeltà di quell’uomo… Vide la mano di Depoulos che faceva cadere il mozzicone spento nel posacenere accanto al suo volto, sentì una nuova pacca violenta sulle natiche… nessun altro commento. Manuela singhiozzava… si sentiva annullata… schiacciata…

– Ora ascolta bene, troia. Quando il signor Storace entrerà, voglio che tu sia molto seduttiva. Voglio che tu faccia ondeggiare il tuo culetto come una cagnetta in calore, strofinandoti il clitoride… – Un’altra violenta pacca, sull’altra natica, un altro gemito…

– Lo implorerai di perdonarti per la tua maleducazione e lo implorerari di punirti fottendoti in culo.

Un’altra violenta sberla sulle natiche nude.

– Mi stai ascoltando troia? Non ti sento.

– Si… signore… – mormorò lei, singhiozzando. – Ho sentito… signore… – Aveva ancora la guancia appoggiata alla scrivania, le lacrime che scivolavano sulla superficie di vetro.

– Sarà una bella scena… – continuò Depoulos, sottolineando ogni frase con una nuova violenta pacca sulle natiche di Manuela. – Storace potrebbe essere tuo padre… sai cosa puttana? Voglio che tu lo chiami “papà” quando ti rivolgi a lui.

– Si… signore… – mormorò ancora lei.

– Ho intenzione di conservare la registrazione, – disse Depoulos, facendo un cenno alle telecamere di sicurezza piazzate nella stanza. – E voglio che chi vede il video possa pensare che tu sei veramente la figlia del porco che si sta godendo il tuo culetto vergine.

Manuela rispose ancora “si, signore”, la voce che le tremava più del solito. Era terrorizzata e umiliata, e per più di un motivo. Quello che aveva detto era vero… nessun uomo l’aveva mai penetrata dietro, e l’idea che il primo a farlo fosse una persona disgustosa e detestabile come Storace la distruggeva… ma non era solo questo. Segretamente, Manuela da tempo provava piacere penetrandosi dietro con alcuni oggetti… un deodorante…un rossetto… in alcuni casi persino qualcosa di più grande, come una zucchina… era una cosa intima, solo sua, di cui si vergognava. Non sapeva se Storace avrebbe potuto accorgersi che aveva mentito a proposito della propria “verginità”… ma non osava immaginare le conseguenze se fosse successo… l’idea di essere derisa da quelle persone squallide e detestabili per quel suo “vizio” segreto… il modo in cui Depoulos l’avrebbe umiliata… senza contare le punizioni che le avrebbe inflitto per avergli mentito…

Una nuova pacca sulle natiche la riportò al presente. Depoulos la stava picchiando più forte ogni volta.

– Ti masturberai tutto il tempo mentre ti incula, ti muoverai sul suo cazzo, lo prenderai più in fondo che puoi… ma non puoi venire.

– Si, signore…

Depoulos le rifilò ancora due violente pacche sulle natiche, e poi le afferrò di nuovo le labbra della vagina fra le dita, tirandole.

– Sono molto serio riguardo alla cosa del “papà”, puttana, – disse. – Se ti sbagli e lo chiami col suo vero nome, o “signore”, o in qualsiasi altro modo, mi inventerò la punizione più terribile che tu possa immaginare. Ti farò pentire di essere nata. Hai capito bene?

In quel momento bussarono alla porta. Manuela si rese conto dello spettacolo che offriva a chiunque fosse entrato… la fica aperta, le natiche rosse per le sculacciate subite…

– Sono Storace, signor Depoulos, – si udì da fuori.

Depoulos si piegò su di lei, continuando a tirare le grandi labbra della ragazza mentre le parlava all’orecchio: – quando parlo di punizioni severe, non scherzo. Se ti dimentichi anche solo una volta di chiamare “papà” Storace, il male che ti farò sarà più di quello che puoi sopportare. Quindi per il tuo bene ti consiglio di cominciare subito a pensare che sia tuo padre quello fuori dalla porta.

– Si… signore… – mormorò Manuela. – Ho capito… signore…

Si alzò, e le diede un’ultima violenta pacca sulle natiche nude. – Si va in scena, troietta di papà. Storace, entri pure!

La porta si aprì, e Storace entrò, rimanendo per un attimo quasi paralizzato dallo stupore per ciò che aveva di fronte agli occhi. Appena ebbe realizzato, chiuse rapidamente la porta dietro di sé. – Eccomi…! – disse quindi, con sorriso perverso dipinto in faccia. – Qualcuno mi deve delle scuse?

Depoulos sorrise, guardando Manuela.

Suo malgrado, la ragazza cominciò a fare quello che doveva. Iniziò a oscillare le natiche, portando la mano alla vagina ancora dolorante e cominciando ad aprirla e strofinarla con le dita nel modo più osceno di cui era capace, offrendo a quell’uomo schifoso, che odiava, uno spettacolo vergognoso e umiliante… e cominciò a implorare…

– Papà… ti prego papà… mi dispiace di essere stata arrogante… io… devo essere punita papà…

Manuela si sentiva sprofondare. Le riusciva così difficile chiamare “papà” quel vecchio porco… e questo le faceva paura. Si arrese al volere di Depoulos… Cominciò a immaginare che dietro di lei ci fosse veramente suo padre. E continuò a sprofondare…

– Ti supplico papà… ti supplico mettimelo nel culo… per punizione… fottimi il culo ti prego papà…

Storace guardò Depoulos, incerto. – La troietta di papà è abbastanza grande per essere sverginata anche dietro, – disse Depoulos. – Si accomodi, Storace.

Storace fece un ghigno incredulo, e si avvicinò alla bella ragazza indifesa. Lasciò vagare il proprio sguardo sul corpo invitante di lei, le belle natiche arrossate da un’evidente sculacciata recente, la vagina altrettanto arrossata e gonfia, le cosce lucide di umori… Portò le mani alle natiche di Manuela, cominciando a palpare la morbida carne della ragazza con gusto. Aveva le unghie piuttosto lunghe per un uomo, e si divertiva ad affondarle nella pelle dolorante di Manuela. Era evidente che l’uomo si stava togliendo una soddisfazione, e che voleva prendersela calma.

– Finalmente sei stata messa al tuo posto, puttana boriosa, vero? – le disse, palpandola e torturandola con le mani e le unghie.

Manuela singhiozzava… – Ti prego papà… – suo malgrado, continuava a ondeggiare i fianchi, venendo incontro ai palpamenti di Storace, facendogli scivolare sensualmente le natiche nelle mani – ti prego papà… prendi il culo di quella troietta della tua bambina… usami come la puttana vogliosa che sono… la puttana del mio papà… ti prego papà….!

Storace rideva… ora le stava toccando le cosce, le natiche, le aveva messo le mani fra le cosce… stava esercitando il suo potere, voleva farle sentire quanto era impotente e indifesa…

Manuela sentì lo “zip” di una cerniera che si abbassava, e chiuse gli occhi, rimanendo in attesa… sentì il contatto del membro dell’uomo che si appoggiava fra le sue natiche, e poi scivolava in avanti a sfiorarle la vagina… caldo, duro… grosso… Trovava ancora più odiosa l’idea che quel porco di Storace fosse così ben dotato… che potesse esercitare su di lei quella forma di potere animalesco, di “riempirla” con un membro così possente…

Storace prese a muovere il membro con lenti movimenti circolari… Manuela sentiva il glande dell’uomo che le spingeva contro le grandi labbra, gliele apriva, che si strofinava contro il suo clitoride… che scivolava avanti e indietro fra le sue natiche… lo sentì scivolare indietro, posizionarsi per penetrarla… e fermarsi. Le mani di Storace le strizzavano ancora le natiche. – Troia, – le disse l’uomo, – mettitelo nel culo da sola. Guidalo con le tue manine, forza.

– Si, papà… – rispose lei, portando una mano fra le cosce e trovando il membro nodoso di Storace. Tremando e mordendosi il labbro, ripeté il gesto che aveva fatto a volte con qualche giocattolo, nell’intimo della sua camera… accompagnò il membro dell’uomo al proprio ano… sentì il glande caldo contro il suo buco… – si… papà… prendimi il culo… – iniziò a balbettare, tenendo il membro di Storace contro il proprio ano e spingendo indietro con i fianchi.

Lui lasciò che lei si umiliasse infilandoselo dentro da sola, e non appena il glande fu penetrato, strinse con violenza ancora maggiore le natiche di lei e spinse con forza, penetrandola a fondo, una violenta spinta fino alla radice… Manuela sentì i testicoli pesanti e caldi dell’uomo che le sbattevano contro le natiche.

– Oh…. grazie… grazie papà…. – mormorò, piangendo. Benché non fosse propriamente vergine, le dimensioni del membro di Storace, il fatto che non fosse per niente lubrificato, la violenza della spinta, furono abbastanza per farle provare del vero dolore. Storace prese a fotterla con violenza, facendola sbattere dolorosamente contro la scrivania a ogni spinta…

Depoulos intanto era tornato a sedersi, e osservava compiaciuto la scena. – Allora, Storace, questo può bastare come punizione per l’arroganza di questa troia?

Storace rallentò il ritmo per rispondere al suo direttore, ma senza smettere di fottere Manuela. – In realtà, – disse, – avrei un’altra richiesta, se posso permettermi.

Depoulos fece cenno a Storace di accomodarsi.

– Questa troia è molto orgogliosa di quelle tettone da vacca che si ritrova, – disse Storace. – Le sbatte in faccia ai colleghi anziani pensando di poter ottenere ogni genere di favori…

– Capisco, – disse Depoulos. – Come vorrebbe punirle?

– Quello che c’è là nell’angolo è un bollitore? – rispose Storace.

La ragazza sentì i due uomini che ridevano. Non c’era stato neppure bisogno di una risposta, si erano già capiti. Manuela spalancò gli occhi, terrorizzata. Vide Depoulos che si alzava per andare a prendere il bollitore, e nello stesso momento Storace si piegò su di lei, afferrandola per i capelli per sussurrarle all’orecchio: – io e te abbiamo un piccolo segreto, vero, cagna col culo sfondato? credo che tu abbia detto a Depoulos che sei vergine qui dietro o sbaglio? se non vuoi che io gli dica quello che so, non farmi sentire nemmeno un gemito… nemmeno un fiato… hai capito?

Manuela annuì in silenzio. Storace sorrise, e sempre tenendola per i capelli e col membro ben piantato dentro di lei, le fece sollevare il busto della scrivania. – Apriti la camicia, puttana. – Depoulos era tornato; appoggiò il bollitore fumante sulla scrivania, accanto alla ragazza. Diede uno sguardo a Manuela che stava cominciando a slacciarsi i bottoni, impacciata dalle mani che le tremavano, e intervenne. – Lascia fare a me, cretina, – disse, afferrando i lembi della camicia della ragazza e strappando tutti i bottoni con un gesto secco. Quindi, si tornò a sedere, per godersi la scena.

Storace prese il bollitore. – Mani dietro la schiena, troia, – le disse. Manuela obbedì, portando le mani dietro di sé, e mormorando un debolissimo “si, papà”. Storace le tirò più forte i capelli per costringerla a inarcare la schiena e spingere in fuori i bei seni nudi… Quindi, cominciò a inclinare il bollitore, molto lentamente, finché un primo sottile filo d’acqua fumante non cominciò a scendere… direttamente sul seno di Manuela. La ragazza strinse i pugni e gli occhi, tutti i muscoli in tensione, cercando con tutte le forze di non gemere… Storace lasciò scendere quel sottile getto per un po’, ricominciando intanto a spingere avanti e indietro nell’ano di Manuela… spostò il bollitore, fece scendere un nuovo filo d’acqua sull’altra mammella… Manuela ansimava in silenzio, si contorceva debolmente… e intanto, suo malgrado, inconsciamente, cercava di servire il membro del suo aguzzino, muovere i fianchi per farlo godere…

Storace stava continuando a torturarla, torturarla e scoparla, e i getti d’acqua si avvicinavano sempre di più ai capezzoli… ogni tanto l’acqua tornava a cadere in un punto dalla pelle già scottato in precedenza, e Manuela aveva l’impressione di svenire per il dolore… Anche quando lui cominciò a versarle l’acqua fumante sui capezzoli, incrementando contemporaneamente la violenza con cui la stava sbattendo, ebbe l’impressione che sarebbe impazzita, che non poteva resistere a tutto quel dolore… resistere in silenzio…

Storace le si era avvicinato all’orecchio, lo sentì sussurrare – sei molto brava… vediamo come te la cavi se facciamo sul serio.

Manuela aprì gli occhi, allarmata, cercando di capire cosa sarebbe successo; non riusciva a vedere bene attraverso le lacrime, ma realizzò che Storace aveva appoggiato il bollitore sul tavolo, e che aveva svitato il tappo

Manuela lo guardò implorante… non poteva farle questo… sentì Storace che le afferrava entrambi i seni, li schiacciava l’uno contro l’altro… incrementando la forza con cui le stava fottendo il culo… e li spingeva dentro la bocca del bollitore…

Era troppo… senza rendersene neppure conto, Manuela cominciò a urlare, disperata, le lacrime che le scendevano lungo le guance… le gambe che le cedevano… e nello stesso momento sentì lo sperma di Storace che le schizzava in profondità nell’intestino, abbondante, caldo… e provò una sensazione calda in mezzo alle gambe… no… non poteva venire… in quel momento in cui non era in grado di capire nulla, ricordava però l’ordine del suo padrone… Storace si svuotò completamente dentro di lei, e solo quando fu soddisfatto le tolse le mammelle dal bollitore.

Manuela si accasciò sulla scrivania, dolorante e ansimante, mentre Storace sfilava il proprio membro dall’ano di lei. La ragazza rimase in attesa che Storace mantenesse la sua promessa… e rivelasse a Depoulos il suo “segreto”… ma l’uomo si limitò a ripulirsi il membro nella gonna di Manuela. Quando i loro sguardi si incontrarono per un istante, le fece uno strano sorriso maligno, come a dire “ne riparleremo…”

– Storace, lei può andare – disse Depoulos. – Puttana, non devi dire niente a papà?

Manuela ansimava, il cuore in gola per la paura di quello che Storace poteva rivelare, il dolore che ancora le scuoteva il corpo. – Grazie… grazie papà… – singhiozzò. – Grazie… per avermi punita…

Storace le rifilò un’ultima violenta pacca sulle natiche rosse. – Quando vuoi, puttana, – disse. – Ci vediamo in giro. – Fece un cenno di ringraziamento a Depoulos, e uscì dalla stanza.

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– Alzati, puttana, – disse Depoulos quando Storace fu uscito. Manuela si rimise in piedi a stento. Il trucco ormai era completamente disfatto dal pianto. Tremava visibilmente, e aveva i seni arrossati dalle bruciature. Tenne gli occhi bassi, assicurandosi di avere le gambe ben aperte.

Depoulos la guardò. – Non sei proprio la brava bambina che fingi di essere, – disse. Fece un cenno alle cosce aperte di Manuela. – Hai dello sperma che ti cola dal culo, troia. Raccoglilo.

Manuela obbedì, portando una mano fra le cosce. Sentì il liquido colarle sul palmo, lo raccolse con le dita.

– Le mammelle ti fanno male?

– Si, signore… tanto… signore…

– Spalmaci sopra la sborra di papà.

La ragazza deglutì, e obbedì, cominciando ad accarezzarsi i seni con la mano con cui aveva raccolto lo sperma di Storace. Si morse il labbro per il dolore. Depoulos sembrava apprezzare molto lo spettacolo.

– I capezzoli sembrano molto arrossati.

– Mi fanno malissimo… signore…

Depoulos aprì un cassetto della scrivania. Prese due mollette pinza documenti, e le buttò sulla scrivania. – Metti una molletta su ciascun capezzolo. Le terrai tutto il giorno.

– Si… signore… grazie… – mormorò lei. Applicò le mollette ai capezzoli… guardando Depoulos… e fece attenzione a sistemarle nel modo più doloroso possibile, per compiacerlo, in modo che mordessero la carne più tenera e dolorante.

– Vuoi bere il mio sperma ora, troia?

– Si… signore… – rispose lei in un sussurro. – Per… favore…

– Ti ricordi quello che ti ho spiegato, devi meritarlo.

– Si… signore…

– Per oggi ti darò io qualche consiglio su come fare. Ma in seguito dovrai usare la tua immaginazione per convincermi a usare la tua bocca da pompinara.

– Si, signore…

– Mettiti qui per terra ai miei piedi, – disse Depoulos, annuendo. – Schiena a terra, ginocchia sollevate e aperte. Tienile aperte con le mani.

Manuela si asciugò le lacrime. Non era ancora finita… Come poteva non essere ancora finita? Non poteva sopportare così tanto… era esausta… distrutta… Ma si mise per terra, come richiesto da Depoulos, le gambe aperte, le ginocchia sollevate…

Depoulos prese un pesante righello. – Quella è la posizione in cui devi metterti se vuoi che ti colpisca la fica con questo, – le disse, facendo oscillare l’oggetto. – E’ una buona posizione per cominciare a implorarmi di darti la mia sborra. Colpirti la fica me lo fa diventare duro, e aumenta le tue probabilità di bere il mio sperma.

– Si… signore… ho capito…

– Però non prendo ordini da te, non basta metterti in posizione perché io usi il righello. Devi chiederlo.

Manuela sentì nuove lacrime che le rigavano le guance, mentre quasi inconsciamente divaricava di più le gambe, aprendo completamente il proprio sesso. – Per favore… signore… la prego… mi colpisca… colpisca la mia fica… col righello signore…

Depoulos rimase impassibile, rifilandole un primo, secco colpo sulla vagina nuda, di piatto, col righello. – Scegli meglio le parole se vuoi che continui. Umilia la tua fica.

Manuela gemette di dolore; aveva ricominciato a tremare. Scegliere le parole? Non riusciva quasi a pensare, col dolore ai capezzoli, ai seni, alle natiche…

– Per… per favore… – ricominciò, – la supplico padrone… continui… colpisca la mia sporca fica… la mia sporca fica da cagna… padrone…

Depoulos la osservava in silenzio. La colpì ancora, più forte. – Continua a supplicare. Non ce l’ho ancora duro.

– La prego… colpisca ancora la mia… la mia fica da sborra… la mia lurida… grassa fica da cagna vogliosa… padrone… la supplico….!!!

Depoulos la colpì ancora, due, tre, quattro volte. Quindi ripose il righello.

– Non sono convinto che tu sia sinceramente umiliata, – disse Depoulos. – Vediamo. Se ti dicessi di raccogliere la merda che cago e infilartela nella fica, sarebbe un uso appropriato del tuo buco, Manuela?

– S… si signore… – pianse lei, – si… la mia fica merita di essere riempita di merda… padrone… è una sporca fica da troia… merita di essere riempita di merda e di piscio…

– Bene. Pensi che il mio cane si divertirebbe a scopare la tua fica, Manuela?

Manuela impallidì. Non aveva idea se queste minacce fossero solo per umiliarla… o se Depoulos potesse avere davvero quelle intenzioni… – Io… s… lo spero… signore… spero che gli piacerebbe… la mia fica… signore… come quella… di qualsiasi cagna…

Depoulos sorrise. – Masturbati. Una mano sola.

Manuela annuì, e portò una mano fra le cosce, cominciando a strofinarsi il clitoride.

– Ora Manuela, la cosa che mi interessa di più sentire da te, è se a te piacerebbe essere scopata a fondo dal mio cane, e riempita del suo sperma. Come pensi che ti sentiresti?

Ancora una volta Manuela deglutì a fatica. Un altro gradino… – Si… si… signore… mi piacerebbe… sarei onorata di essere scopata dal suo cane… e di ricevere il suo sperma… padrone…

Sperava solo che fossero solo parole.

– Prenditi il clitoride fra le dita e tiralo mentre immagini di essere scopata dal mio cane davanti a papà. Il tuo vero papà.

Lei obbedì. Immaginò davvero la scena che Depoulos le aveva ordinato di immaginare; era troppo spaventata per disobbedire anche solo nel pensiero. E dovette resistere perché sapeva che non poteva venire… Non senza autorizzazione…

– Vuoi chiedermi di venire, troia?

Manuela si impose di rispondere di no. Voleva rispondere di no. Non poteva accettare tutto quanto… Doveva dire di no. – S… si padrone la prego… posso venire… padrone… la prego… posso?

– No, – rispose Depoulos. – Puoi slacciarmi i pantaloni ora. In ginocchio.

Lei si mise in ginocchio, ancora a gambe divaricate. Portò le mani tremanti alla patta di Depoulos. Aveva le guance in fiamme, le bruciavano più dei seni e della vagina. Gli abbassò la zip. Guardò il suo padrone. Lui fece un gesto di assenso. Lei lo tirò fuori… era duro e caldo.

– Ora comincia a masturbarmi mentre ti spiego ancora un paio di cose, – disse lui.

Manuela annuì, cominciando a masturbarlo in silenzio.

– Se riesci a bere il mio sperma, questa sarà la seconda volta che lo bevi questa settimana. Ricordati che te ne mancano ancora tre queste settimana.

– Si… signore…

– Oggi te l’ho resa facile ma d’ora in poi preferirò venirti sulle tette, nel culo, in fica… dovrai essere molto convincente per poterti dissetare al mio cazzo.

– Si… signore… grazie… signore..

– E siccome forse pensi che la punizione se non ci riesci non possa essere peggio di quello che già ti faccio tutti i giorni, vorrei chiarire questo punto. Ti dirò quale sarà il primo livello di punizione. Cioè la punizione che avrai la prima volta che non riesci a bere tutte le tue razioni settimanali di sperma.

Manuela deglutì, guardando Depoulos con la paura negli occhi.

– Verrai legata nella toilette degli uomini per due settimane. E intendo dire notte e giorno. Alla tua famiglia dirai che sei in viaggio per lavoro. Per due settimane, non potrai mangiare nient’altro che quello che otterrai come toilette umana, merda e piscio. Sto parlando seriamente. Hai capito bene?

– Si, padrone, – mormorò lei.

– Puoi prenderlo in bocca, ora. Datti da fare perché se mi annoio un solo momento ti faccio girare e te lo ficco in culo, e puoi dire addio alla tua bevuta.

Manuela mormorò “grazie signore” e cominciò a servire con la bocca il membro del suo aguzzino. Lo succhiò con devozione, nel modo più sensuale e osceno che le riusciva, leccandolo, prendendolo in gola… Depoulos si rilassò e la lasciò fare… Manuela continuò a succhiare come se desiderasse lo sperma di Depoulos più di ogni altra cosa al mondo… il che era in qualche modo vero… gli leccò e succhiò i testicoli, spinse la lingua fin sul perineo, cercò in tutti i modi di eccitarlo… lo riprese fra le labbra…

E finalmente Depoulos venne, schizzandole numerosi getti di sperma in bocca.

– Non mandar giù, – le disse Depoulos.

Manuela non ci poteva credere. Rimase immobile, guardando il suo padrone.

Depoulos le mise un piede fra le cosce.

– Ti autorizzo a venire. Potrai mandarlo giù solo nel preciso momento in cui vieni.

Manuela arrossì… e cominciò a strofinare la vagina sulla scarpa di Depoulos… e la cosa più umiliante fu che le bastarono pochi secondi… venne intensamente, singhiozzando, mentre deglutiva la sua seconda razione settimanale..

– Grazie… grazie padrone… – pianse, quando ebbe ripreso fiato.

– Ora rivestiti, per quanto ti è possibile, e vai a lavorare.

Manuela annuì. Si alzò, si abbassò la gonna… Della camicetta erano rimasti solo due bottoni, gli altri si erano staccati quando Depoulos gliel’aveva strappata. Li abbottonò… Rimaneva un’oscena scollatura che mostrava gran parte dei suoi seni nudi…

– Grazie… signore… – mormorò ancora una volta. Si diresse alla porta, le lacrime che avevano ricominciato a sgorgare per il dolore insopportabile che le pinze le procuravano ai capezzoli ustionati… Si fermò alla porta, si volse verso il suo direttore, e mormorò ancora una volta “grazie…” mentre usciva.

Grazie… si rese conto di essere già quello che Depoulos voleva da lei… una schiava… una schiava pronta a ringraziare se il suo padrone la violentava… la torturava… la umiliava… perché in quel modo il padrone le stava insegnando chi era veramente…

Si accorse di essere ancora umida fra le gambe… corse in bagno, si chiuse dentro, si inginocchiò per terra e scoppiò a piangere disperata.